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la «norma penale in bianco» deve tuttavia osservare alcuni criteri: innanzitutto, la legge che rinvia deve includere tutti i fattori istitutivi; inoltre, il rimando deve essere eseguito solo allo scopo di chiarire un fattore di tipo tecnico/costitutivo già identificato dalla legge di rinvio.

Pertanto la conformità di una legge penale in bianco con il generico criterio di riserva di legge è assicurata dalle limitazioni di contenuto prescritte dalla norma di rimando all’atto di integrazione seguente. un classico caso di legge penale in bianco è l’art. 73 del d.p.r. 309/ 1990, oggi emendato dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49 e dal decreto del ministero della salute 4 agosto 2006 (decreto turco), che include, difatti, tutti i fattori istitutivi (destinatari, azione di commercio o importazione o possesso non per utilizzo individuale) e compie un rimando a un atto di integrazione per identificare le droghe e la loro quantità, adattata tramite un «moltiplicatore» (oltrepassato questo margine si presuppone che la droga non sia riservata al consumo individuale).

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Dopo il ricorso avanzato contro il decreto turco, il tar del lazio ha dichiarato che «soltanto considerando che l’atto di tipo amministrativo che identifica il quantitativo massimo di principio attivo di droga possedibile a utilizzo soltanto individuale rappresenti esercizio di potere discrezionale tecnico, e dunque si basa su aspetti scientifici da un certo punto di vista inderogabili, potrà essere considerato confacente al criterio di riserva di legge … laddove invece si affermasse che questo atto comporti l’attuazione di un potere di tipo «politico» molto discrezionale, la legge penale che accordasse all’amministrazione questa facoltà non sarebbe costituzionale». criterio di legalità 13 3.

Che ruolo ha il «criterio di tassatività»? ragguaglio legislativo: art. 25 cost., art. 1 c.p, art. 14 disp.prel. c.c. spiegazione: parametro per certificare la costituzionalità della norma penale in rapporto alla sua definizione tecnica. elementi distintivi: livello di discreta precisione della norma penale, attinenza.

quesiti conseguenti: difformità con la concezione di «precisione», interdizione di attinenza, osservanza del «criterio di tassatività» da parte dell’organo legislativo.

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la tassatività riguarda la tecnica di espressione della fattispecie, che rileva allo scopo del rinvenimento della tipicità. il «criterio di tassatività» è osservato quando la legge di accusa abbia un livello di precisione obbligatorio e soddisfacente per permettere al magistrato di identificare la fattispecie regolata dalla legge.

E’ quel criterio, costituzionalmente assicurato dall’art. 25 cost., che protegge la libertà individuale (favor libertatis) contro il potenziale giudizio del magistrato nel raffronto della corrispondenza tra fatto reale e caso astratto.

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L’organo legislativo ha il dovere di indicare le fattispecie che costituiscono illecito, e, parallelamente, di definire in modo dettagliato il contenuto della legge penale, allo scopo di assicurare agli associati la comprensione di un contesto legislativo sicuro e ben descritto.

Se dunque la legge fosse troppo generica e imprecisa, la spiegazione da parte del magistrato diverrebbe una funzione di produzione del diritto, in opposizione alla tutele costituzionali di legalità attribuite ai cittadini.

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la premessa del criterio stesso coincide con il bisogno di sicurezza del diritto che a sua volta garantisce la parità giuridica dei cittadini a equiparazione di comportamenti, la verifica della responsabilità, il ruolo general-preliminare del diritto penale e l’eventualità di comprendere la legge da parte dei soci.

E’ chiaro quindi che laddove il criterio di riserva di legge è di guida alla definizione delle fonti del diritto penale, il criterio di tassatività riguarda la modalità di enunciazione di tali fonti. 3 bis.

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Che differenza esiste tra «tassatività» e «esattezza»? i vocaboli tassatività e esattezza sono in genere usati come equivalenti, pur essendo ritenuti da alcuni studiosi idee ben differenti. una parte della teoria, difatti, sostiene che la «tassatività» riguardi l’interdizione di corrispondenza e che la «esattezza» concerna, al contrario, l’obbligatoria formulazione delle regole penali con contenuto specifico.

In base a questa teoria, la tassatività si rivolge direttamente al legislatore e alla magistratura, perché proibisce, innanzitutto, di formulare la legge in maniera non chiara e in modo sommario, inoltre, di attuare allo stesso modo la fattispecie legislativa a eventi non deducibili nella sua definizione astratta; contrariamente, la precisione permette di accertare la facoltà di attuare la legge di accusa alla fattispecie effettiva.

Ma la giurisprudenza non accetta tale differenziazione, alla luce della presunta uguaglianza ontologica dei vocaboli «tassatività» e «esattezza», usandole in tal modo in ogni suo verdetto come equivalenti. 3 ter. il criterio di tassatività è stato osservato dall’organo legislativo penale? il legislatore nella definizione di fattispecie di accusa può ricorrere a tre differenti tipi di fattori: inflessibili, flessibili, indefiniti.

I fattori inflessibili, di natura dettagliata (di origine naturalistica o numerica), non provocano complicazioni di conformità con il criterio di tassatività, poiché in rapporto ad essi il riferimento alla fattispecie è facile e rapido.

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I fattori flessibili (espressione di una realtà numerica o temporanea limitata), invece, concedono al magistrato un raggio di valutazione meno limitato in rapporto a quelli inflessibili, ma in ogni caso conformi al principio costituzionale di tassatività, perché garantiscono l’adattamento della nozione giuridica al contesto sociale in costante sviluppo.

I fattori indefiniti si mostrano non conformi al criterio di tassatività, perché la stessa natura di imprecisione, totalmente inadatta a identificare l’azione di rilevanza penale, rinvia di fatto al potere dell’interprete la definizione della condotta accusata.

la corte costituzionale si è pronunciata più volte su questa questione, dapprima non riconoscendo nessun problema di costituzionalità e, in seguito, affermando l’incostituzionalità di alcuni casi di reato per opposizione al criterio di tassatività. la corte, difatti, sostiene che talvolta il ricorso a fattori indefiniti e generici non permette all’interprete, nel relazionare una fattispecie alla disposizione normativa, di manifestare un parere di correlazione sorretto da una base legislativa rinvenibile nel sistema normativo (corte costituzionale sent. n. 6, 8-6-1981). 4. è accolta l’«analogia» in ambito penale?

Ragguaglio legislativo: 14 disp.prel. c.c., art. 25 cost. proibizione di analogia: natura assoluta o relativa della proibizione, analogia in bonam partem e analogia in malam partem.

l’analogia è la procedura con cui sono risolti i casi non indicati manifestamente dalla normativa applicando a essi le leggi che disciplinano casi somiglianti (analogia legis) o altrimenti dedotta dalle norme generiche del diritto (analogia iuris).

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difatti, l’analogia legis è un fenomeno teso ad attribuire alla prescrizione della legge un senso più generico in rapporto a quello che emerge dal senso letterale di essa, laddove l’analogia iuris assicura lo stesso effetto ricorrendo alle norme generiche del sistema.

Nei modelli penali basati sul criterio di legittimità formale, come quello nazionale, il procedimento dell’analogia non può essere attuato per sopperire alle mancanze di prescrizione legislativa. l’art. 14 disp.prel. c.c., difatti, dispone che «le norme penali e quelle che costituiscono eccezione a precetti generici o ad altre norme non si adottano al di fuori delle fattispecie e i tempi in esse previsti». anche se solo in via indiretta, tale proibizione si basa sull’art. 25 della costituzione, perché è teso a cancellare qualsiasi pericolo di discrezione da parte sia della magistratura sia del legislatore nella spiegazione e attuazione delle leggi penali d’accusa.

L’impostazione alla base dell’interdizione di analogia in materia penale è costituita proprio dal bisogno di tassatività del caso, dato che l’analogia è in opposizione all’onere del magistrato di sanzionare soltanto le condotte categoricamente indicate dalla norma.

in teoria e in giurisprudenza si dibatte sulla natura assoluta o parziale dell’interdizione di analogia:

ci si domanda se concerne anche le leggi a vantaggio del soggetto accusato (analogia in bonam partem) o se sia limitato alle leggi svantaggiose (analogia in malam partem).

i fautori della natura assoluta dell’interdizione di analogia fanno appello al fondamentale bisogno di sicurezza e univocità del diritto penale, che in caso opposto sarebbe danneggiato tramite il ricorso alla procedura di analogia.

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l’impostazione maggioritaria, al contrario, preferisce la contraria teoria secondo la quale l’interdizione di analogia è relativa, circoscritta soltanto all’analogia in malam partem. L’interdizione di analogia è pensata a protezione del favor libertatis pregiudicato soltanto dall’attuazione dell’analogia in malam partem.

Peraltro, per «norme penali» di cui all’art. 14 disp.prel. c.c. occorre far riferimento soltanto alle leggi di accusa, quelle su cui cioè si basa la supposizione di un illecito o di una condanna penale. quindi, la sola tipologia di analogia accettabile in ambito penale è quella in bonam partem, in osservanza alle limitazioni di conformità dell’eadem ratio dell’accusa, del fondamentale livello di esattezza della norma oggetto di attuazione dell’analogia, dell’interdizione di analogia delle leggi straordinarie. 4bis.

Si può attuare l’analogia sulle discriminanti?

Molti sono i motivi presentati contro o a vantaggio della teoria sull’accettabilità dell’attuazione analogica delle discriminanti.

Infatti, trattate le questioni basate sulla natura assoluta dell’interdizione di analogia in materia penale, vi è anche stato chi ha in ogni caso estromesso l’accettabilità dell’attuazione analogica delle discriminanti tenendo conto della valutata natura straordinaria delle medesime.

Ma si opta per la teoria per cui la relazione tra disposizione di accusa e discriminante non sia di norme-eccezione non soltanto per l’assenza della fondamentale unità di disciplina, ma anche in quanto le discriminanti, lontane dal contravvenire alle leggi penali in base a opposte norme regolatrici, sono esse stesse manifestazione di norme generiche.

Appunto, la corrispondenza a norme generiche e l’estromissione della natura generica non sono sufficienti a basare la loro generalizzata attuazione analogica; non si può ignorare, infatti, che nel ramo dei motivi di discolpa alla preponderanza del favor libertatis equivale sempre la privazione del bene giuridico di un soggetto terzo.

l’analogia è, quindi, non ammessa per le discriminanti che la medesima normativa presume nella loro massima valenza, come nei casi di attuazione del diritto e rispetto dell’obbligo (art. 51 c.p.); alla stessa maniera è interdetta in rapporto alle disposizioni che il legislatore ha formulato in modo categorico, per cui il sorpasso di uno dei fattori istitutivi della discriminante farebbe cadere la eadem ratio della materia, con ingiustificabile produzione di

nuove discriminanti.

ciò succede, per esempio, in materia di utilizzo legale delle armi laddove l’organo legislativo definisce una fattispecie «piena o esclusiva»: la legge, vale a dire, indicando un regolamento per il caso indicato, escludendo quelli analoghi, non appare passibile di attuazione analogica.

Sono al contrario armonicamente estendibili analogicamente le discriminanti della condizione di esigenza preventiva e della legittima difesa preliminare (artt. 54 e 52 c.p.). in tali casi l’analogia si baserebbe, pur in mancanza della pretesa effettività del rischio, sull’eadem ratio:

si è dinanzi a una circostanza soltanto analoga alla condizione di esigenza e alla legittima difesa esaminate dal legislatore nel momento in cui, pur non essendo ancora presente il rischio, si abbia la sicurezza della non rinviabilità dell’azione di difesa, senz’altro inutile se rimandata in attesa del verificarsi del pericolo.

è il caso del soggetto catturato che ammazza il sorvegliante per scappare, sapendo che molto presto sarà annientato, visto il non avvenuto pagamento del riscatto.

l’argomento è stato trattato a livello giurisprudenziale dal tribunale di trento nel 2004, per cui in ambito di condizioni di esigenza non ostacola la sua attuazione la non avvenuta e precisa configurabilità dell’aspetto della effettività del rischio, perché non costituisce discrepanza dal diritto l’ampliamento analogico della definizione dei casi sui quali la discriminante può applicarsi.

Infatti, l’assenza dell’elemento dell’effettività del rischio di danno lesione al soggetto è sostituita, allo scopo dell’eadem ratio, dal fatto che l’aspettare che il rischio si concretizzi rende non possibile o assai difficile l’eventualità di uscire indenni dalla lesione. 5. come agisce il «criterio di non retroattività»? ragguaglio legislativo: art. 25 cost., art 2 c.p., art. 11 disp.prel. c.c. concezione:

la norma penale si attua soltanto per azioni compiute dopo la sua adozione e non può essere attuata a fattispecie antecedenti.

Prerogative: non retroattività della norma svantaggiosa, retroattività della norma vantaggiosa, successione temporale delle norme, abolitio criminis. quesiti conseguenti: validità della successione temporale di norme, discrepanze tra modificazione e cancellazione.

il criterio di non retroattività agisce dal punto di vista dell’efficacia temporale della norma: la norma penale si attua soltanto ai casi compiuti dopo la sua adozione e non può essere quindi attuata a casi ad essa antecedenti. l’art. 25 co. ii cost. prescrive, difatti, che «nessun soggetto può essere condannato se non in base a una norma adottata prima dell’azione compiuta », l’art. 11 disp.prel. c.c. stabilisce la generica non retroattività della norma, e infine l’art. 2 c.p. è teso a stabilire i parametri di soluzione delle differenti complicazioni che la materia della successione temporale delle norme inevitabilmente produce.

L’impostazione su cui si basa il «criterio di non retroattività» della norma penale è quella di difendere la libertà soggettiva (favor libertatis) da possibili decisioni dello stesso organo legislativo, riscontrabile nel caso in cui vi siano maggioranze parlamentari tra un incarico e l’altro.

Poi, il criterio ha anche un ruolo di precauzione generica alla luce della quale la legge d’accusa deve essere già vigente quando l’azione è eseguita, proprio per il bisogno che l’efficienza dissuadente dell’accusa emerga prima dell’esecuzione dell’azione.

pur essendo un criterio generico per tutti gli atti legislativi, é di livello costituzionale soltanto in ambito penale e dunque il legislatore ordinario mai e poi mai potrebbe presumere, nemmeno in modo indiretto, la retroattività delle sue norme, ciò che al contrario può succedere in tutti gli altri ambiti giuridici.

per questi settori il criterio è, difatti, enunciato soltanto dall’art. 11 disp.prel. c.c., dunque da una fonte principale che ben può essere abrogata da una fonte di pari livello.

In ambito penale, la base teorica del «criterio di non retroattività» è tale da circoscriverne il raggio di applicazione soltanto alle nuove accuse o, nell’ipotesi di successione di norme penali di accusa, a quella più svantaggiosa per il colpevole. l’art. 2 c.p., difatti, oltre a legittimare al i comma il criterio di non retroattività delle leggi penali di accusa, indica al ii comma il criterio di retroattività della legge penale vantaggiosa, eccetto la limitazione del giudicato, con ciò riferendosi alla non retroattività soltanto a livello parziale; il iii comma (immesso dalla l. 85/2006), abrogando alla norma che rinviene nel giudicato di punizione una limitazione alla retroattività della norma vantaggiosa, prescrive che se vi è stata punizione di pena carceraria e la normativa successiva presume soltanto la pena monetaria, la pena carceraria data diventa ora l’equivalente pena monetaria; il iv comma, infine, prevede il caso di successione di norme di modifica presumendo l’attuazione della norma più vantaggiosa per il colpevole. 5 bis.

A cosa ci si riferisce in caso di successione di norme di modificazione? il iv comma dell’art. 2 c.p. regola i casi di successione di norme di modifica: talvolta l’immissione di nuove leggi penali non cancella casi di reato antecedenti né ne identifica degli altri, ma regola in modo differente fattispecie già illecite e riservare ancora ad esserlo.

a questo proposito, l’articolo in esame prevede che «se la norma del periodo in cui fu compiuto l’illecito e le successive sono differenti, si attua quella le cui prescrizioni sono più vantaggiose per il colpevole, eccetto che sia stato emesso verdetto di pena».

la successione di norme penali riguarda così una abrogatio sine abolitione, ossia una variazione del regolamento di un caso senza l’abolizione totale della legge antecedente. ne deriva una radicale differenziazione tra variazione vantaggiosa, in quanto tale retroattiva, e modificazione svantaggiosa per cui vige il «criterio di irretroattività».

questo accostamento retroattività della norma vantaggiosa – non retroattività della norma svantaggiosa convalida la natura relativa del «criterio di non retroattività» anche in materia di successione di norme di modifica (abrogatio sine abolitione), così che la retroattività della legge penale posteriore più vantaggiosa è considerata anch’essa una regola di grado costituzionale sia pure inclusa nell’art. 25 cost. proprio in quanto basato sulla medesima idea di tutela della libertà soggettiva. 5 ter. cosa significa «norma più vantaggiosa per il colpevole»?

la teoria e la giurisprudenza sono d’accordo nel considerare che l’analisi per decidere quale di due o più norme sia la più vantaggiosa per il colpevole debba essere seguita concretamente, comparando i risultati che proverrebbero dall’attuazione di ciascuna delle leggi al caso concreto:

più vantaggiosa sarà la legge che, adottata per il caso materia dell’analisi del magistrato, sembrerà portare, in base a criteri principalmente obiettivi, a esiti meno difficili.

la definizione della natura più o meno vantaggiosa di una legge rispetto a un’altra va fatta in rapporto sia alla regola che alla misura sanzionatoria, in base a criteri obiettivi, senza considerare gli interessi dell’accusato all’adozione di una legge.

una volta identificata la norma più vantaggiosa, essa dovrà essere attuata anche se in seguito è stata di nuovo emendata in modo svantaggioso per l’accusato; inoltre, dovrà essere attuata nella sua totalità, dato che non è possibile regolare specifici profili con parte di una norma ed altri aspetti con parte dell’altra.